La penna e la mano
di Luca Laurenti
La penna giaceva nel cassetto da molto, moltissimo tempo.
Ormai non ricordava nemmeno più da quante settimane, mesi, forse anni si trovasse lì.
Si sentiva sola, terribilmente sola e triste quant’altro mai. Soprattutto la sera, quando i rumori e le voci della casa e, più lontano, della strada si affievolivano pian piano ed un silenzio ricco di malinconia sopraggiungeva a cullare i suoi sogni e a rammentarle che un’altra, lunghissima giornata era terminata. La sua migliore amica, la mano, l’aveva abbandonata senza troppi convenevoli un maledetto giorno di settembre in cui era entrato in casa quello stupido scatolone di plastica dall’aspetto poco rassicurante, pieno di fili ed altri strani aggeggi che lo rendevano buffo e terrificante al tempo stesso.
Computer lo avevano chiamato e con la mano era stato amore a prima vista.
Quella sciocca se ne era andata senza dire una parola, aveva dato un calcio alla loro lunga amicizia come si fa con un pallone vecchio, aveva accarezzato il video, sistemato i fili,, controllato che ogni cosa fosse al proprio posto, poi era piombata come un falco sulla tastiera danzando felice ed esibendosi in evoluzioni e piroette degne di una ballerina provetta.
E quello stesso giorno la vita della penna era cambiata drasticamente. Dapprima aveva pensato o, meglio sperato che, una volta passata la novità, tutto sarebbe tornato come prima e la sua inseparabile amica l’avrebbe cercata ancora per condividere con lei nuove ed emozionanti avventure. Cosa poteva, infatti, esserci di tanto interessante e divertente nell’accarezzare quei piccoli, grigi, freddi cubetti di plastica che nulla avevano a che fare con l’eleganza e la raffinatezza di una penna come lei? Come poteva dimenticare, quell’ingrata, i tanti momenti in cui le aveva consentito di riempire fogli e fogli di carta e di renderli palpitanti di vita con il suo caldo inchiostro? Come poteva offendere il suo glorioso passato e le sue antichissime origini preferendole, tutto ad un tratto, un computer che sfornava semplici pezzi di carta, perfetti sì, ma senza vita? E, infine, cosa ne sapeva quella squallida scatola senza personalità di secoli e secoli passati dai suoi antenati a tradurre indefessamente le emozioni dell’animo umano e a testimoniare la storia stessa dell’umanità intera?
No, la cosa non poteva davvero durare; presto la mano si sarebbe accorta dell’errore commesso e sarebbe tornata con la coda tra le gambe a chiederle perdono per avere tradito la fiducia e l’affetto della sua vecchia amica.
La penna si era così rassegnata ad osservarla civettare con quel computer senza degnarla nemmeno di uno sguardo e, tra un sospiro e l’altro, aveva deciso che ne avrebbe atteso con infinita pazienza il sicuro ritorno. Ma i giorni passavano e la mano non aveva occhi che per quell’odioso computer; anzi, più il tempo passava e più dava l’impressione di trovarsi a meraviglia tra tasti, fili, dischetti e ammennicoli vari. Pareva addirittura ringiovanita.
Così la penna aveva cominciato ad entrare in depressione. Essere completamente ignorata e del tutto inutile le causava un indicibile sofferenza, ma non aveva ancora persa la speranza che, un giorno, le cose sarebbero cambiate.
E quel giorno era sembrato, all’improvviso, arrivare. Di fatti, una mattina, la mano si era avvicinata alla scrivania dove lei era stata poggiata e dimenticata e l’aveva presa con delicatezza. Stava per urlare di gioia, il cuore le batteva forte dall’eccitazione, tutta emozionata, era già pronta ad offrire il suo inchiostro migliore quando, con orrore crescente, si era accorta del cassetto che si apriva lentamente, proprio lì sotto, e, prima che avesse potuto dire o fare qualunque cosa, le dita l’avevano lasciata e lei era stata inghiottita dal buio e dal silenzio. Aveva provato a gridare, si era dimenata con tutte le sue forze, per la rabbia le era uscito l’inchiostro da tutti i pori, ma non c’era stato nulla da fare. La mano l’aveva tradita una seconda volta e questo, per una penna che aveva lavorato tutto una vita era davvero troppo. Non avrebbe più perdonato l’oltraggio di finire dimenticata in un cassetto buio e sporco dopo tanti anni di onesto e silenzioso servizio.
Stavolta la mano l’avrebbe pagata. “Aspetta che tu abbia bisogni di me, un giorno…”, si era detta fra se e se, piena di rancore. “Allora la vedremo…”.
Ma, passati i primi momenti, la rabbia aveva ceduto il posto allo sconforto e alla disperazione, tanto che se non avesse avuto almeno i ricordi, sarebbe certamente morta di dolore.
Ogni tanto udiva la mano ridere e scherzare e, talvolta, da un minuscolo foro nel cassetto, dava qualche sbirciatina per vedere cosa stesse combinato la sua ex-amica con quell’odioso computer. Poiché, però, questo le causava un tormento ancora maggiore, aveva desistito quasi subito ed era piombata in una depressione senza fine. Stava ormai perdendo le ultime speranze quando, un giorno, era accaduto qualcosa: un tonfo sordo rumori concitati, poi le era sembrato di sentire odore di bruciato.
Infine, un silenzio quasi irreale.
Dopo qualche secondo aveva udito di nuovo qualcosa: stavolta dei passi che si avvicinavano.
Il cassetto si era aperto di colpo e due grandi occhi colmi di ansia avevano scrutato al suo interno.
La penna era terrorizzata.
L’improvvisa luce l’aveva abbagliata talmente da non permetterle di vedere nulla e lei si era istintivamente retratta nel disperato tentativo di fuggire a quello sguardo indagatore.
Poi, del tutto inaspettata, ecco la mano.
Aveva atteso questo momento come non mai, l’aveva sognato ogni notte, aveva meditato la vendetta più orrenda, le parole più offensive, aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe più perdonata, eppure, non appena l’aveva veduta, non era riuscita a trattenere le lacrime di gioia e calde gocce di inchiostro avevano macchiato il legno di quella che era stata la sua prigione.
Si era lasciata, allora, prendere da quelle dita che conosceva così bene senza dire nulla, senza opporre resistenza ed il calore di quell’abbraccio aveva allontanato da lei ogni proposito di vendetta.
Passando vicino al computer, una rapida occhiata le era stata sufficiente per capire che questo doveva essersi rotto: fili staccati, video spento, la tastiera che giaceva abbandonata in un angolo. Così conciato, sembrava un vecchi televisore da rottamare e, per un istante, aveva provato una gran pena per lui.
Infine, si era finalmente rivolta alla mano che la teneva stretta e avrebbe voluto dire qualcosa, ma quella l’aveva preceduta e con un filo di voce le aveva sussurrato: “Scusami”.
“Non importa”, aveva replicato la penna.
“Siamo ancora amiche, no?”, aveva incalzato la mano tradendo una certa apprensione.
“Certo”.
“Amiche per sempre?”.
“Da sempre e per sempre”.
“Sei pronta?”, aveva chiesto con ansia la mano.
“Lo sono sempre stata”, aveva risposto la penna sorridendo.
Ma non c’era stato tempo per dirsi altro.
Il foglio di carta, bianco come la neve, era proprio lì, a poco millimetri da loro. La mano vi si era poggiata, le dita si erano mosse, e la penna l’aveva già ornato di bellissimi, caldi, sbuffi di inchiostro.