FIORIRANNO MARGHERITE
Nelle mani quella dannata lettera,
quattro righe senza speranza.
Licenziato.
Sul cancello della fabbrica un cartello: due
parole pungenti come pugnali “ fabbrica chiusa.”
Non più fasci di margherite a presidiare
i capannoni di cemento, solo rovi rampicanti
sotto un cielo inutilmente azzurro.
Sento il silenzio della sirena e la voce spenta
delle macchine, oggetti inutili senza padrone.
Ovunque cumuli di cose lavorate tutti i giorni
e lasciate là nel macero dei sogni.
L’eco del vuoto riecheggia nelle stanze
tra lunghi fili di ragnatele.
Ripenso alla fabbrica com’era prima, al fumo bianco
delle torri fumarie, agli operai in fila con un panino
in tasca e tanti sogni da realizzare: una vita intera
di turni di lavoro tra albe e tramonti, tra odore
di fatica e di metallo.
Ripenso alle loro voci, ai discorsi mai terminati,
alle battaglie per i diritti sempre negati.
Ripenso a te che il giorno prima della festa mi aspettavi
con i bambini fuori dalla fabbrica.
Ora vago per le strade, curvo nelle spalle e segnato nell’anima,
cerco una fabbrica che abbia margherite ai cancelli e fumo
bianco nelle ciminiere.
Mirella Rigamonti