Di Enrico Serraglini – PRIMA CLASSIFICATA XVI EDIZIONE 2020
luglio 2020
Grafica – china – su cartone- 30×50
L’opera, impostata sulla drammaticità del contrasto, reinterpreta con una grafica originale, minuziosa e incisiva, una foto di scena di Maria Callas/Medea del 1969, alludendo a quella medesima atmosfera e ispirazione. Emerge da ll’ombra una figura femminile insieme fragile e ieratica nel biancore latteo della pelle levigata, arcana e stregonesca nei pesanti abiti rituali che si caricano di gioielli dalla misteriosa preziosità. Medea appartiene alla fase pasoliniana (che comprende Accattone, Edipo, lo stesso Vangelo come varianti anche profonde dello stesso tema) sospesa tra il mito e la scomparsa del sacro davanti all’incombente società della devozione al denaro, che brucia i sentimenti sull’altare del potere: lei che sacrifica la vita, il futuro, sull’altare di divinità oscure e terribili è, essa stessa, vittima di un sistema perverso. “Niente è più possibile, ormai”, dirà Medea alla fine del film, il prezzo del passaggio dal sacro al laico, dal preistorico al moderno, dalla barbarie alla cultura, è la rinuncia a se stessi. Pasolini trova in Medea un’allegoria nera per comprendere la realtà ma, con un altro ossimoro, trova in Maria “ una affinità psichica”, una specie di amore, una luce che gli fa dire, in poesia: ” … ma al posto dell’Altro/ per me c’è un vuoto nel cosmo /un vuoto nel cosmo /e da là tu canti”. E ancora, nelle lettere: “Tu sei come una pietra preziosa che viene frantumata in mille schegge per essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia” .E’ il gioco della vita.