primo calssificato
La valle delle pietre
di Giovanni Petta
Tra il vetro e il legno, il vento prepotente
dalle finestre penetra il paese
grigio di pietre, umido di fumo,
di cenere, di suono e di tristezza.
Albamaria sa tessere da sola
e canta dei suoi anni e canta nomi
di luoghi mai veduti e immaginati,
del tedio, delle stanze senza amore.
Carlotta tiene il viso tra le mani,
osserva, pensa, vive e fa la spola
tra il caldo del suo cuore e il freddo intenso
dei vicoli, pozzanghere di niente.
Tramonta l’orizzonte e si nasconde
nel bosco, tra il sentiero e il temporale.
MOTIVAZIONE: L’ordito di sensazioni e di proiezioni fantasmatiche, in cui affonda le radici identitarie e si sviluppa il tessuto di emozioni, di pensieri, di sentimenti, che orientano il lavoro di Lina Pietravalle, trova espressione sensibile e significativa in una poesia in cui sono condensati, ricordi, immagini, visioni esistenziali, scenari paesani, che sono profondamente incisi nell’anima di un popolo e che si annodano e si cercano negli abissi della memoria, che si perde nella notte dei tempi e che continua ad innervare pervasivamente la condizione esistenziale dell’uomo dei nostri giorni.
seconda classificata
LINA PIETRAVALLE: SCRIVERE QUEL CHE SI VEDE CON LO SPIRITO AUTENTICO DI BAMBINA
di Paola Iotti
La sensibilità di Lina Pietravalle si individua in un brano, narrato da lei con tono umoristico, riguardante il suo esame di quinta elementare svolto a Torino.
Nel tema d’italiano l’alunna doveva esporre “Ciò che vedo dalla mia finestra: pensieri, riflessioni e propositi per l’anno nuovo”.
Alcune compagne non sanno che scrivere e sono disperate: la maestra interviene con suggerimenti geografici legati al Po e alle vicine montagne.
Lina è sincera: si domanda cosa c’entri una finestra con le intenzioni per l’anno nuovo ma scrive la verità. Lei studia in un piccolo sgabuzzino, per non avere distrazioni, pieno di sedie rotte e bambole senza testa. Da quella stanzina vedeva solo la finestra dell’appartamento di fronte in cui viveva una signora in compagnia di Toni, un gatto nero e grasso.
Lina inventa un dialogo con il felino, spietato cacciatore di topi: la bambina invidia l’animale perché non deve eseguire compiti scolastici seccanti e ascoltare lezioni in cui non si capisce nulla. Toni può vivere una vita felice facendo quello per cui è nato, ossia l’assassino di topi. Se ne sta sdraiato a leccarsi i baffi, tranquillo e beato dopo i suoi omicidi, ricevendo carezze dalla padrona. Lina conclude: «Vorrei essere te, gatto nero, e sono sicura che, col tuo zampino, a questo tema prendi un bel dieci e un topo fresco».
All’inizio la Commissione ride a ogni riga che legge, divertita da dialoghi e pensieri fuori dalle regole: subito assegna un sei che, però, si trasforma in un cinque e, alla fine, in un irrecuperabile quattro.
Le compagne di classe, dalla loro finestra, erano invece riuscite a osservare scene eclatanti: cestini con colazioni regalate a vecchietti smunti, bambini che piangevano la morte di infiniti parenti, addirittura lo svolgimento delle guerre d’indipendenza o il percorso del fiume Po con tutti i suoi affluenti. Il compito che meritò il massimo, un tondo dieci, parlava della Mole Antonelliana e dell’Ospedale Cottolengo.
La mamma di Lina, alla notizia del quattro, piange sconsolata e la figlia, furente, scoppia in lacrime, lamentandosi con lei per averla relegata in una stanzetta da cui poteva vedere solo un gatto.
La commissione esaminatrice aveva premiato la finzione delle altre alunne senza riconoscere la divertente originalità di chi era stato fedele al titolo del tema, leggendo la realtà e trasformando un ordinario gatto in un personaggio accattivante.
Per fortuna, intervenne il presidente che tramutò il quattro in un sette.
Uscito dalla stanza, il professore individua immediatamente Lina dall’atteggiamento “selvatico” di profondo corruccio e cordoglio. L’uomo ride e le chiede cosa abbia visto dalla finestra.
«Un gatto» risponde decisa la bimba.
«Hai ragione. E scrivi sempre quel che vedi!».
Quell’uomo era Dino Mantovani, noto scrittore e critico letterario.
Un episodio che consente di leggere l’animo dell’artista molisana: una scrittrice che guarda e tratteggia ciò che la circonda con occhi di bambina, mantenendo una spontaneità che le permette di restare in contatto con la parte autentica di sé. Le regole che la famiglia, la scuola e la società imponevano non sono state in grado di allontanarla dalla propria essenza: la terra di origine, il Molise, e la sua natura incontaminata le hanno offerto la possibilità di sintonizzarsi a un’energia con cui contrastare l’apparenza. Solo l’elasticità di un letterato come Mantovani riconobbe il valore di chi osserva e racconta la realtà in modo diretto e originale, trasformando la banale apparenza in straordinario.
Lina Pietravalle nasce, nel 1887, a Fasano di Brindisi perché il padre, medico, si era trasferito in quel paese per occuparne la condotta. Il genitore era, però, originario di Salcito, in provincia di Campobasso. Nonostante i frequenti spostamenti familiari, Lina considerò il Molise la propria terra di origine e vi tornava appena poteva.
Da bambina si ritrova a Torino a frequentare il collegio “Villa della Regina”, in cui la sua indole ribelle mal si adatta alle regole austere e bigotte: fatica ad abituarsi anche alla dieta del Nord e non sopporta cibi come la polenta, che è costretta a consumare diverse volte la settimana. Ricordi che verranno trascritti in un brano intitolato La polenta in cui Lina si descrive come una bimba di otto anni sola e triste, lontana dai genitori che credevano di averle fatto un regalo dandole l’opportunità di ricevere un’educazione da signorina del gran mondo, dimenticando che, per una fanciulla di quell’età, l’unico mondo che le interessava era quello familiare.
Con grande ironia la scrittrice ricorda che la terra è una valle di lacrime ma a lei, negli anni del collegio, la terra appariva una valle di polenta, dato che la pietanza gialla la faceva lacrimare abbondantemente, obbligata dalle insegnanti a cibarsene nonostante il disgusto che le provocava.
Divenuta adulta, Lina riconoscerà il contrasto vissuto nel collegio come un elemento positivo che la portò a rafforzare il carattere ribelle, orgoglioso e ironico, permettendole di superarne le asperità grazie al calore “meridionale” di cui era dotata.
I periodi di vacanza che trascorre in Molise sono, però, quelli che la ricaricano, facendole vivere i momenti migliori, il cui ricordo sarà sempre presente negli scritti.
La maniera con cui delinea paesaggi e protagonisti fa dichiarare alla critica che Lina abbia seguito la corrente verista utilizzando lo stile decadente di D’Annunzio.
La rappresentazione della terra molisana come di un ambiente fuori dal tempo, i cui abitanti sono pervasi da passioni intense e primitive, la fa avvicinare al modo con cui D’Annunzio trattava la propria, l’Abruzzo, collocandola in un luogo mitologico.
Sicuramente la Pietravalle ha letto autori come Verga e D’Annunzio, ma la scrittrice si è sempre comportata come la bambina che guardava dalla finestra il gatto Toni, descrivendo la realtà con lo spirito sincero che il silenzio selvaggio della sua regione le permetteva di conservare ed esprimere. Gli artisti non seguono questa o quella corrente ma ascoltano la propria anima e ciò che questa fa loro percepire attraverso una personale sensibilità creativa.
Nella novella Custoda viene raccontata la vicenda di un pastore diciassettenne che, lontano dal paese per seguire il gregge, pensa con nostalgia all’amica della fanciullezza, vedendo tramutare il sentimento di amicizia in amore. Di sicuro, l’allontanamento di Lina dalla famiglia per studiare nel collegio torinese le ha permesso di dipingere, in maniera intensa e realistica, la malinconica voglia del pastore di ritornare a casa.
A soli vent’anni, la Pietravalle s’innamora di un giornalista affermato, Pasquale Nonno, e lo sposa. Va a vivere dai suoceri a Chiauci, un piccolo borgo nella provincia di Isernia, mentre il marito lavora a Roma.
L’esistenza in quel paesino sperduto la porta a scrivere le Novelle Molisane, in cui traduce magistralmente l’essenza arcaica e istintiva dell’abitato, come la passionalità di chi ci vive. Assiste a tramonti silenziosi che colorano d’oro le montagne e i tetti delle case, senza distinzione di chi le occupa, rendendo comune il loro destino.
In Marcia Nuziale la protagonista, dopo un sontuoso matrimonio, si trasferisce in Molise e raggiunge il paese in groppa a una giumenta: salire in sella a un quadrupede cambia la prospettiva conducendo in dimensioni diverse, dove il tempo scorre lento e il movimento cullante della cavalcatura induce un approccio quasi meditativo col panorama circostante. L’esperienza del proprio matrimonio consente alla scrittrice di dar vita a descrizioni uniche, in cui le usanze evidenziano il legame con lontani riti pagani: i ricordi del vissuto attribuiscono magia a storie in cui l’uso ricercato della parola si intercala con i suoni del dialetto, originando un linguaggio concreto e caldo che cattura l’attenzione.
La distanza incrina, però, il legame con il marito e Lina si trasferisce con il figlio a Roma, senza però riuscire a sanare i contrasti che portano alla separazione dei coniugi. Purtroppo, dopo tre anni, il marito muore, dando l’avvio a una serie di lutti che arrecheranno grande sofferenza nell’esistenza della donna.
Questo evento, creando difficoltà economiche, spinge Lina a intraprendere la carriera di giornalista.
Si tratta dell’evoluzione della sua naturale capacità di osservare dalla finestra, solo che adesso non c’è più un gatto nero da delineare ma un’Italia che affronta il delicato periodo politico degli anni Venti. I mezzi di comunicazione hanno conquistato un ruolo primario nella formazione dell’opinione pubblica e gli intellettuali che scrivono sui giornali sono consapevoli del ruolo pubblico rappresentato.
I quotidiani offrono novelle di vario tipo perché molto richieste e la tecnica giornalistica le favorisce, permettendo la realizzazione di pezzi brevi, dalla scrittura attenta al particolare e ai legami con elementi fuori dall’ordinario che stupiscono il lettore, facendolo riflettere.
La produzione di Lina è ricchissima e passa da narrazioni realistiche a storie fantastiche, che si dipanano in ambienti aristocratici o popolari, in campagna o in città.
La scrittrice è molto originale, soprattutto nel dar vita a personaggi femminili che sfuggono le rigide regole morali del periodo: sono donne che vivono la passione rompendo la mentalità chiusa e producendo scalpore, che parlano utilizzando un linguaggio corposo che trasmette sensazioni, dando voce alla potente energia di una terra inalterata e selvaggia.
Analogamente a Grazia Deledda per la Sardegna e a Matilde Serao per la Campania, la Pietravalle lega il proprio nome al Molise, terra sconosciuta alla maggioranza degli italiani, facendola uscire dai confini regionali. Non solo fa da sfondo alle sue opere, ma diventa protagonista di una serie di reportage con una quindicina di articoli pubblicati sul “Mattino” in qualità di corrispondente locale.
Il giornale napoletano s’inserisce, infatti, in una polemica campagna a favore dei valori del Sud in contrasto con quelli dell’Italia del Nord: attraverso inviati da differenti località, cerca di documentare il valore della “meridionalità” rivendicando la specificità etnico-politica del Mezzogiorno d’Italia contrapponendola al Settentrione, che pare volerla assorbire.
Lina comincia a ricevere riconoscimenti: nel 1923 vince il premio Bemporad per la novella Custoda e, l’anno successivo, Mondadori pubblica la raccolta I racconti della terra a cui seguono altre opere, tra cui l’unico romanzo Le catene, ambientato a Salcito, il paese paterno.
I successi letterari sono però rattristati da eventi luttuosi: dopo la morte della madre, nel 1920, la gioia del Bemporad è offuscata dall’assassinio del padre, parlamentare, ad opera di sconosciuti.
Nel 1925 Lina sposa Giorgio Bacchelli, fratello di Riccardo, conoscendo un periodo di grande creatività e di ulteriori riconoscimenti letterari. La sua casa a Roma diventa meta dell’élite culturale ed è frequentata da giornalisti, scrittori e attori come Anna Magnani, a cui fu legata da profonda amicizia.
Il suo nome appare in antologie per la scuola elementare assieme ad autori come De Amicis e, nel 1930, realizza una serie di fumetti pubblicati su giornali come “Il Roma della Domenica” e “Supplemento a Topolino”.
Arnaldo De Lisio, valente pittore molisano parente della madre, le dedica varie opere immortalandola in un dipinto a olio dal titolo “Tuo zio”, che ne coglie la bellezza fisica e interiore.
Nel 1932 vince il premio Viareggio mentre, nel 1941, il regista Goffredo Alessandrini, compagno di Anna Magnani, realizza un film per la Titanus da un suo soggetto cinematografico, Immacolata, che diventerà sullo schermo “Nozze di sangue”.
Ma, nel 1942, il secondo marito muore in Russia durante la guerra e, dopo due anni, la Pietravalle deve sopportare l’uccisione dell’unico figlio Lionello, da cui si riprenderà grazie all’affetto delle sorelle e alla scrittura, collaborando, fino all’ultimo, con le più importanti riviste e quotidiani del periodo.
La morte la coglie il 19 aprile del 1956.
Alcuni critici, soprattutto negli anni Trenta, non furono in grado di apprezzare le peculiarità della scrittrice molisana, catalogandola dannunziana o verista e liquidandone la produzione come “variopinto folclore”.
Il legame con la terra, in cui aveva trascorso i momenti felici dell’infanzia e dove trovava periodico rifugio, le permise d’incontrare suoni, atmosfere e profumi unici, venendo a contatto con persone semplici, spesso vestite con abiti e modi rozzi, che rivelavano una ricchezza interiore sorprendente.
I personaggi femminili mostrano forza, saggezza e istinto che l’istruzione non sempre riesce a formare, come accade con la suocera della Pietravalle, analfabeta, immortalata in Mia suocera (nella raccolta Marcia Nuziale), che si commuove quando le leggono storie, concludendo che «chi sa leggere non è povero!».
Oppure come nonna Angiolina, che difende la scelta del figlio di investire tutti gli averi nell’istruzione dei nipoti, rispondendo alle critiche del marito che avrebbe preferito l’acquisto di un gregge con quei soldi, esclamando: «Chi può volare voli! Il cervello è libero, e chi ha denari conta e chi ha cervello vola!».
L’originalità di Lina, evidenziata nel tema dell’esame di licenza elementare, è stata alimentata e forgiata dall’energia di una terra in cui valori come solidarietà, consapevolezza di far parte di una comunità e sentimento autentico che proviene da una natura incontaminata le hanno permesso di distinguersi, esprimendosi con una scrittura moderna, fatta di descrizioni fisiche, di sperimentazioni linguistiche, di sottile ironia e agilità nella costruzione della trama.
Lo spirito schietto della bambina che scrive quel che vede non è stato spento dalle imposizioni del collegio, la sincerità non è stata imbrigliata da convenzioni e ipocrisie della società ma mantenuti vivi dall’autenticità della vita che si respira nei borghi e nelle valli molisane.
Lina è stata anche capace di anticipare temi oggi attuali, accennando perplessità sull’effettivo progresso della scienza nel commentare scoperte come il neon la cui illuminazione, fredda e impersonale, snaturerebbe i colori, avvisando sulla pericolosa dipendenza che si origina dall’uso di droghe come la cocaina, sottolineando temi ecologici legati all’importanza del ruolo di alberi e animali o su ciò che oggi chiamiamo “Slow food” e relativo all’enogastronomia tipica del territorio.
Il Molise rappresenta i ricordi e gli affetti più cari della scrittrice: la realtà è fatta anche di miseria, di ignoranza, di tribolazioni che portarono molti a emigrare. Nelle opere della Pietravalle, spesso, la realtà viene trasfigurata in mito, come avveniva nell’antica Grecia, per purificare e allontanarne gli aspetti negativi in modo che non provocassero più dolore, soffermandosi solo su valori e ricordi positivi.
La vita ha duramente colpito Lina negli affetti e la scrittura l’ha aiutata ad anestetizzare il patimento.
Un’artista poliedrica, Maria Lai, che ha in comune con Lina l’amore indissolubile per la terra di origine, nel suo caso Ulassai, in Sardegna, ha vergato una frase che si adatta all’animo sensibile di entrambe: L’arte ha origine dall’amarezza ma rende dolce l’esistenza.
BIBLIOGRAFIA
Petrara Caterina, “Lina Pietravalle e il giornalismo letterario degli anni Venti”, Scrittrici/giornaliste Gionaliste/Scrittrici, a cura di Adriana Chemello e Vanna Zaccaro, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Settore Editoriale e Redazionale, 2011.
Associazione Dimore Storiche Italiane, sede nazionale e sezione Molise, mostra a cura di Nicoletta Petravalle, “Lina Pietravalle (1887-1956) nelle pagine di quotidiani e riviste”, Tipografia San Giorgio, dicembre 2010.
Frattolillo Rita, “Biografie di donne protagoniste del loro tempo: Lina Pietravalle”, 2014.
Moffa Anna, “Lina Pietravalle, Novelle Molisane”, Blog Molise d’Autore, 09/04/2008.
Iacobucci Gabriella, “Il Molise di Lina Pietravalle”, Blog Molise d’Autore, 14/12/2014.
MOTIVAZIONE: Si tratta di una nota biografica che rileva una sensibile attenzione al percorso letterario e umano di Lina Pietravalle: in effetti il lavoro si caratterizza come un viaggio nell’anima della scrittrice e come un cammino ideale e culturale sui mille sentieri che solcano la sua dimensione esistenziale, che, comunque, trovano sempre un approdo certo e un guscio protettivo nelle tracce della memoria locale, nei riferimenti saldamente radicati nelle profondità delle storie della propria terra, attraverso l’ascolto delle voci del paese, della piazza, delle case, degli odori e dei sapori di luoghi indimenticabili.